Una vita dedicata al calcio, indossando prima gli scarpini, poi la divisa da arbitro e infine la giacca da dirigente. È la storia appassionante di un triestino doc, Andrea Giovannini, un vero “Gigante Buono” come lo definiscono in tanti, che ha lasciato un segno indelebile nel panorama calcistico locale e nazionale, con un occhio di riguardo per il mondo del calcio femminile, quando ancora era un universo sconosciuto ai più.
Tutto inizia sui campi polverosi della Roianese, la squadra del suo quartiere, dove all’età di sei anni muove i primi passi in quella che definisce la sua “carriera” calcistica. Appesi gli scarpini al chiodo dopo l’esperienza nelle giovanili, un amico lo introduce al mondo arbitrale, prima nel Centro Sportivo Italiano (CSI) e poi nell’Associazione Italiana Arbitri (AIA) sezione Pieri di Trieste. Un talento precoce, tanto da bruciare le tappe e scalare ben quattro categorie in una sola stagione sportiva, dagli Esordienti agli Juniores. La carriera arbitrale si interrompe bruscamente per motivi lavorativi: nel frattempo, infatti, entra a far parte del Gruppo Ormeggiatori del Porto di Trieste, un impiego che lo accompagna ancora oggi, in attesa della pensione.
Ma la passione per lo sport non si spegne, anzi si trasforma in impegno dirigenziale. Viene eletto come il più giovane consigliere provinciale d’Italia del CSI, per poi diventare in pochi mesi dirigente regionale e coordinatore provinciale del calcio.
Dopo aver lasciato l’arbitraggio federale nel 1993, continua ad arbitrare a livello amatoriale, collezionando la soddisfazione di dirigere numerose finali dei tornei triestini. Ma è nel mondo del calcio femminile che il suo fiuto e la sua lungimiranza lo portano a nuove sfide. Intuisce le potenzialità di un movimento ancora in embrione e diventa Addetto Stampa della polisportiva Chiarbola, assumendo compiti dirigenziali nella neonata sezione femminile.
Un anno dopo, il Chiarbola cede le sue ragazze al Sistiana (diventato poi Latte Carso), ma anche questa avventura ha breve durata. È a questo punto, spinto da una forte “voglia di rivalsa”, che insieme a Giancarlo Gianneo fonda la sezione femminile della Polisportiva San Marco, riportando il calcio al Villaggio del Pescatore dopo anni di assenza. Parallelamente, entra nell’organizzazione della Coppa Venezia Giulia, un torneo amatoriale che coinvolgeva ben 120 squadre a Trieste.
Con tenacia e competenza, in soli otto anni riesce a portare la società dalla base alla Serie B, creando un settore giovanile interamente al femminile che diventa in breve tempo un centro pilota regionale e un modello da seguire per le altre realtà. Nell’ultima stagione alla guida del San Marco, sfiora addirittura la promozione in Serie A. Ma l’anno successivo, per scelte della polisportiva, tutto si ferma.
Il ritorno a Trieste lo vede protagonista di una nuova avventura: viene eletto Presidente del Campanelle, società di cui è ancora oggi il primo dirigente. La sua visione va oltre i confini locali e lascia il CSI per essere eletto Delegato Nazionale dell’MSP Italia, un ente di promozione sportiva riconosciuto dal CONI e dal Ministero dell’Interno.
Insomma uomo che ama profondamente il calcio e che vive per questa passione, che ha dedicato energie e competenze alla crescita dello sport a tutti i livelli, con un occhio di riguardo per quelle realtà, come il calcio femminile, che hanno bisogno di persone capaci di credere nei loro sogni. La sua storia è un esempio di dedizione, passione e lungimiranza, un vero patrimonio per lo sport triestino e non solo.
Quali sono le principali sfide che la squadra ti trova ad affrontare a livello organizzativo ed economico per il Campanelle Amatori?
E’ un mondo che affascina, ritengo che il piacere di far calcio anche dopo il discorso agonistico possa tranquillamente palesarsi in questa attività amatoriale che da la possibilità a molti ragazzi che sono passati a Campanelle, di continuare a fare sport nella società che li ha visti protagonisti in età giovanile.
A livello organizzativo è stato bello ritrovare dei ragazzi che con noi hanno fatto i dilettanti che si sono messi a disposizione per portare avanti il Campanelle amatori.
Come descriveresti il rapporto tra la dirigenza, l’allenatore e i giocatori degli am. Campanelle? Qual è la filosofia che guida la gestione del gruppo?
“Quando si arriva a Campanelle si arriva in una famiglia, sicuri che l’impegno e il piacere di stare assieme sia alle basi della nostra attività, la filosofia è lo stare insieme divertendosi giocando a quello che più piace.”
Qual è il ruolo che la squadra amatoriale riveste all’interno della comunità locale? Ci sono iniziative o collaborazioni con altre realtà del territorio?
“La nostra squadra amatoriale è una delle varie che ci sono in città, la collaborazione con le altre società è sempre un buon momento di condivisione, e spesso accade.”
“La nostra vera vittoria e far fare attività anche ad età avanzata, cercando di non privare nessuno del piacere di confrontarsi. Farlo in una struttura organizzata e che dia pure un senso di appartenenza è sicuramente meglio che farlo in altri contesti.”
Lei anche presidente di una squadra FIGC: come descriveresti questa sinergia tra calcio dilettantistico e amatoriale?