Raffaele Liguori si avvicina all’arbitraggio quasi per caso. Seguendo il figlio, che giocava in una squadra amatoriale, apprende che c’è la possibilità di diventare arbitro. L’idea gli piace, lo stuzzica, è un modo per mettersi in gioco, per conoscere altre persone, una opportunità per misurare le proprie capacità emotive, confrontarsi in una sfida dove spesso bisogna disinnescare conflitti dialettici tra le parti. Si iscrive ai corsi della Lcfc, supera l’esame e si getta nel variopinto mondo degli amatori dove Raffaele si scopre persona affabile che cerca, anche nel post partita, con gentilezza e cortesia, di spiegare le sue decisioni.
Raffaele, c’è un modello arbitrale a cui ti ispiri?
“No, non ho nessun riferimento. Credo che un arbitro debba essere se stesso, non la copia di altri”.
Qual’è la squadra che con i suoi atteggiamenti ti ha messo più in difficoltà?
“Certo, ci sono squadre che sul campo si dimostrano ostiche e con le quali non è facile gestire un buon rapporto in campo, ma non ricordo di aver diretto squadre che mi hanno messo in difficoltà”.
La partita di calcio che non dimenticherai mai?
“ Ritengo che le partite che un arbitro non può mai dimenticare siano quelle dove i giocatori, dopo il fischio finale, non pensano più a ciò che è successo in campo e archiviano la pratica con una stretta di mano”.
Hai qualche rimpianto?
“Nessun rimpianto. Ho sempre cercato di fare del mio meglio e spero che squadre e giocatori mi apprezzino per la mia maniera di arbitrare”.
Quali pensi siano le tue caratteristiche più apprezzate dalle squadre?
“Ogni squadra dice la sua. Se devo sceglierne una in particolare credo sia il piacere che provo nel confronto a fine gara dove, con rispetto ed educazione, si sviscerano i fatti accaduti nel corso della stessa”.
Quali sono i consigli che ti sentiresti di dare alle squadre e/o ai tesserati?
“A tutti, come dico a volte alla fine di ogni partita, giocare bene e parlare poco”.
Ci racconti un aneddoto divertente che hai vissuto nel mondo amatoriale?
“Di divertente ce ne sono stati tanti. Ogni fine campionato, ad esempio, c’è sempre un giocatore che dice “questo sarà il mio ultimo anno da giocatore, appendo le scarpe al chiodo e le lascio lì”. Poi, alla prima di campionato dell’anno successivo, lo stesso giocatore te lo ritrovi in campo”.