E’ un altruista, una persona che ha deciso di dedicare la sua vita agli altri tanto da laurearsi come Educatore professionale. Un ruolo che comporta tutta una serie di iniziative per gestire progetti, organizzare attività e percorsi rivolti a persone in difficoltà. Ci vuole carattere, pazienza, lungimiranza, doti che in 9 anni di attività Alex Marcuzzi ha sicuramente messo in campo sviluppando una passione per il suo lavoro che lo porta ad ottenere spesso soddisfazioni.
Vedere una persona in difficoltà che ottiene, anche solo dei piccoli miglioramenti, lo rende felice come nessun’altra situazione. Alex è anche uno sportivo a 360 gradi, ama guardare sport diversi e capirne le dinamiche. Il calcio poi è la sua grande passione, lo ama in tutte le sue declinazioni. Nel periodo buio del Covid, ha condiviso con gli amici la passione per il Fantacalcio, gioco che è stato una sorta di salvagente che lo ha tenuto a galla, lo ha mantenuto in contatto con i suoi più cari amici. A livello di pratica sportiva, gioca a calcio, disciplina in cui si diletta fino ai 29 anni, con qualche apparizione estiva, in età giovanile, nel ciclismo. Ma due infortuni, sempre alla clavicola, gli bloccano la potenziale ascesa e Alex è costretto ad andare in palestra per rinforzare la muscolatura. Da queste esperienze ne esce fortificato, ma nel frattempo capisce che c’è un’altra strada che poteva percorrere. Quella arbitrale. Vedendo dirigere il papà le gare della LCFC, e su impulso dei suoi genitori, gli scatta la scintilla e si appassiona al ruolo. D’altronde ha molte caratteristiche per diventare un buon direttore di gara: pazienza, concretezza, responsabilità, empatia. Inoltre, considerando che forse qualche esperienza la trae dal suo lavoro Alex, anche in campo, riesce a calarsi in parecchie situazioni complicate che spesso risolve grazie a una buona dose di flessibilità. Un ruolo, quello arbitrale, che svolge con sicurezza e che gli sta dando parecchie gratificazioni personali.
Come hai deciso di fare l’arbitro?
“In un momento molto difficile e particolare della mia vita, i miei genitori mi hanno suggerito di provare ad arbitrare, il che secondo loro mi avrebbe aiutato a superare quel momento e a maturare. All’inizio non ero molto convinto, ma posso solo dire che sono bastate poche partite per capire che avevano davvero ragione. Non smetterò mai di ringraziarli per questa cosa, ma a livello familiare sono stato davvero molto fortunato ad avere due persone così accanto a me”.
La cultura sportiva italiana vede complotti dappertutto. Ti è mai successo di essere accusato di non essere in buonafede?
“Credo che i continui scandali che sono successi a livello sportivo in Italia hanno contribuito a rendere permanente una sensazione di complottismo. Gli stessi errori e dinamiche che succedono nel nostro paese avvengono anche negli altri paesi, ma la base culturale è completamente diversa. A livello arbitrale, qualche volta, sono stato accusato di non essere stato in buonafede e di aver arbitrato e complottato a priori contro una squadra o un giocatore in particolare, ma questi episodi sono sempre successi durante la gara, quando l’agonismo e la stanchezza annebbiano le capacità di ragionare e gestire le proprie emozioni. Probabilmente sarà solo fortuna, ma una volta finite le gare quasi tutti questi episodi si sono risolti nel terzo tempo, tra una chiacchiera e una bevuta in compagnia”.
L’ultima versione del cartellino verde ha favorito la vostra direzione arbitrale?
“L’ultima versione del cartellino verde, utilizzato per sanzionare chi utilizza un atteggiamento o un linguaggio inadeguato in campo, per il mio modo di arbitrare, mi ha un po messo in difficoltà solo all’inizio dato che tendo sempre a utilizzare pazienza e dialogo nel rapporto coi giocatori. Avendo giocato per tanti anni, sono consapevole che in campo si creano delle dinamiche particolari, dovute all’agonismo e alla voglia di vincere e, di conseguenza, qualche parola sbagliata o atteggiamento sopra le righe può accadere. Grazie alla mia esperienza come giocatore, sono riuscito in questi anni ad imparare a valutare le diverse situazioni, utilizzando laddove possibile buon senso e dialogo e diventando più severo nei casi non gestibili diversamente”.
Perché, secondo te, c’è un calo di vocazione nel settore arbitrale?
“Si tratta di un argomento complicato, ma credo che nel calcio, soprattutto in Italia, si ponga troppa attenzione all’operato arbitrale e agli eventuali errori che vengono commessi. L’errore di un arbitro è paragonabile a quello di un attaccante davanti alla porta, siamo sempre essere umani e possiamo sbagliare, soprattutto se come noi siamo da soli in campo e non abbiamo l’ausilio di nessuno. Purtroppo, nel concreto questo concetto viene spesso dimenticato, con l’arbitro che viene investito da proteste e lamentele. Di conseguenza, il calo di vocazione credo sia dovuto a questa continua pressione che si può dover sopportare, che porta ad avere un certo timore di questo ruolo. Inoltre, negli ultimi anni la vita di tutti i giorni è diventata più caotica e stressante e quindi, vedere l’arbitraggio come un’ulteriore fonte di stress e pressione non aiuta certamente”.
Tu sei un ragazzo giovane. Come proveresti a convincere qualcuno della tua età per diventare direttore di gara in LCFC?
“Per me è stata una vera scoperta il mondo arbitrale. Ho cominciato a guardare il calcio in una maniera completamente diversa, concentrandomi anche su aspetti che prima non notavo. Sicuramente, diventare arbitro mi ha cambiato caratterialmente, aiutandomi a superare un momento molto difficile della mia vita, a crescere ed a diventare più sicuro di me. Questo sicuramente direi ad un ragazzo della mia età. Inoltre, fare l’arbitro è una costante sfida con sé stessi, ti stimola a migliorarti sempre e, in molti casi, porta a ricevere grandi soddisfazioni e riconoscimenti”.
Il tuo piatto preferito?
“La pizza, ma in generale purtroppo il mangiare è una delle cose che mi piace di più fare”.
Quali sono le regole della LCFC che ritieni più amatoriali?
“Ti dirò, più che una regola la cosa migliore dei campionati LCFC è il concetto di divertimento, legato a doppio filo con l’amatorialità. Chiaramente, in campo tutti vanno per vincere e fare del loro meglio, ma l’obiettivo principale dev’essere sempre quello che stiamo facendo: una cosa che ci diverte e che, terminata la partita, ti permette di trovarsi tutti nel terzo tempo, scambiandosi opinioni e idee con serenità e bevendo una cosa tutti insieme”.
Cosa pensa la tua compagna quando ti vede uscire con la borsa?
“La mia compagna è molto felice, perché vede una persona che ha passione per quello che fa e che ci mette il cuore per farlo nel miglior modo possibile. Inoltre, è orgogliosa perché riesco a farmi rispettare e apprezzare allo stesso tempo”.
Hai qualche rimpianto?
“In ambito ambito sportivo ho due rimpianti. A sei anni ho fatto un provino con l’Udinese ed ero stato selezionato per la squadra A (i migliori giocatori), ma per motivi organizzativi legati alla scuola non potevo andare agli allenamenti venendo di conseguenza spostato nella squadra B. Mi sono sempre chiesto, essendo stato scelto tra i migliori, che carriera avrei potuto avere se fossi andato ad allenarmi fin da piccolo con l’Udinese.
Il secondo rimpianto è legato all’arbitraggio. Quando ho iniziato non sapevo bene cosa aspettarmi. Poi, vedendo che riuscivo a cavarmela abbastanza bene ho riflettuto pensando che se avessi iniziato prima avrei potuto fare una buona carriera. Sicuramente, arbitrare nella LCFC mi porta grandi soddisfazioni sia a livello sportivo che personale, dato che in questi anni sono riuscito a crearmi una buona immagine come arbitro.