Triestino, 46 anni, da 12 residente a Udine. E’ una persona che, grazie al suo lavoro (il macchinista ferroviario), ha l’opportunità di visitare e conoscere spesso mete nuove e, forse in quel contesto, si è appassionato ai viaggi. Esplorazioni che continua a fare nel tempo libero coniugando la sua passione per il moto touring alla voglia di scoprire luoghi e persone. “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” scriveva Marcel Proust, frase che potrebbe calzare a pennello per Alessandro Radivo, capace di emozionarsi indifferentemente davanti alla torre Eiffel o a un panorama che richiama la bellezza della natura. Il suo carattere espansivo, a volte teatrale, lo porta a vivere la vita inserendosi negli ambiti sociali con una certa disinvoltura, a mettersi in mostra, a gestire gli eventi con polso. Come in campo arbitrale in cui Alessandro dimostra personalità e, anche se può sembrare eccentrico nei modi, e’ sempre pronto a rimettersi in gioco. Per lui ogni partita è un viaggio dove puoi incontrare difficoltà e imprevisti ma che alla fine ti lascia esperienze dalle quali puoi imparare qualcosa per il futuro.
Qualche squadra definisce il tuo arbitraggio eccentrico. Secondo te cosa vuol dire?
“Forse stravagante, che si allontana dai modi comuni. Di certo parlo molto, a volte troppo e alzo pure la voce senza accorgermene, ma preferisco sempre il dialogo o una “strillata” che i cartellini”.
Che tipo di rapporto prediligi con giocatori e dirigenti?
“Assolutamente sorriso e dialogo prima, durante e dopo la gara. Al chiosco non manco mai e sono sempre disponibile a parlare della partita e a dare spiegazioni a chi me ne chiede. E sì, anche ad ammettere eventuali errori di valutazione”.
Come reagisci se qualcuno critica il tuo operato?
“Le critiche le accetto e ne discuto in campo e fuori, al chiosco. Sempre. Guai se non ci fossero. Ti fanno riflettere, capire, comprendere e migliorare. Quando una partita ti va male lo sai e non torni a casa sereno e contento, anzi. È importante far capire sempre la tua buona fede, non possiamo vedere tutto e nemmeno interpretare tutto in maniera corretta. Sbagliamo e sbaglieremo ancora, come i giocatori, e credo si debba accettare l’errore di un arbitro tanto quanto si accettano quelli di chi gioca”.
Il cartellino verde, la cui applicazione da questa stagione è cambiata, vi ha aiutato a dirigere le gare con maggior serenità?
“Per quanto mi riguarda, almeno per il momento, per il mio modo di arbitrare, mi ha creato qualche difficoltà. Credo che in una direzione di gara ci voglia anche il buon senso altrimenti, prendendo la regola alla lettera, le gare potrebbero finire con troppi espulsi. E non è certo questo l’intento per cui è stata concepita. Sicuramente, essendo appena stata introdotta questa nuova versione sull’applicazione, non c’è ancora uniformità di giudizio, ma di certo col tempo riusciremo ad applicarla nella maniera giusta”. Bisogna saper capire quali sono le reali proteste o magari solo esclamazioni di sconforto figlie del momento, bisogna solo individuare quelle che meritano davvero di essere punite con il cartellino verde e trovare appunto una linea comune per essere omogenei nell’applicazione.”
Secondo te quando le squadre percepiscono la bravura di un arbitro?
“Quando capiscono che non si fa mettere i piedi in testa, che è comprensivo ma anche severo se serve e, soprattutto, quando adotta un metro di giudizio uniforme per tutta la gara”.
Qual’è la più grande soddisfazione ottenuta in campo arbitrale e quali obiettivi di poni per il futuro?
“Le due designazioni per le finali nazionali sono state un’enorme soddisfazione personale, ma è stato bello, per una volta, non essere da soli bensì in gruppo. Sono state giornate fantastiche. Certo, la tensione era alta, ma dopo il fischio d’inizio svanisce perchè hai altro a cui pensare. Per quanto riguarda gli obiettivi vorrei continuare per molti altri anni a far parte di questa famiglia, arbitrare è un qualcosa che senti dentro, non si può farne a meno. Tanta passione, tante emozioni vissute e tante, spero, ancora da vivere”.
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