La sana competizione è nel suo DNA. Per lui l’importante è esserci, lottare, ma non vincere per forza. Lo sport lo emoziona, gli crea quell’adrenalina difficile da descrivere. Lo sport è come un dogma: guarda tutte le discipline sportive, dall’arrampicata sportiva, allo snooker, passando anche per il curling. Denis Tomadini, probabilmente, ricava da ogni sport un insegnamento, assorbe sensazioni positive che poi riversa nel suo amore sportivo primario, il calcio. Fin da piccolo, a parte una breve parentesi di nuoto, ha giocato a calcio, sport che ha praticato dagli 8 ai 50 anni con impegno, voglia, passione, rincorrendo quel pallone che gli regalava qualche sogno e, in fondo, un senso di benessere interiore. Poi ha dovuto smettere per evitare che peso e ginocchia – come dice lui – non facessero a pugni. Ma la passione è rimasta inalterata e Denis è diventato un ottimo dirigente. D’altronde, da buon geometra, si occupa di progettare nuove soluzioni per mantenere attiva la sua squadra, dirige un associazione in un contesto non sempre facile. La sua voglia di stare in compagnia, il vivere il terzo tempo in modo spensierato, farsi carico di molti impegni istituzionali senza mai lamentarsi, lo portano ad essere benvoluto da tutti. Di lui dicono: è una persona fantastica, generosità infinita, ascolta, vuole proprio bene a tutti noi, ha sempre una parola per ciascuno, non si inalbera mai, Quando deve alzare la voce un attimo dopo dice: “ma non sono arrabbiato” e ricomincia. Fa tutto, anche il mister quando manca quello ufficiale. E se ti serve uno specialista sanitario di qualunque genere (ortopedia, fisioterapia, cardiologia, dermatologia…) lui sa sempre consigliarti da chi andare. Parla sempre con tutti, anche con l’ubriaco molesto al chiosco a fine serata. Un cuore grande.
Siete nel Friuli Collinare dal 1993. Quali sono stati i periodi più brutto per la Virtus?
“Sono arrivato alla Virtus nel ’96, quando il presidente era Franco Polo, che, purtroppo, ci avrebbe lasciato di lì a poco, a causa di un malore dopo una partita. Sicuramente il momento più triste di questi trent’anni di storia”.
E quello più critico?
“Il più critico, invece, è stato quello immediatamente successivo. Quando il presidentissimo Fabrizio Romagnoli ha raccolto il testimone ed è riuscito a governare una barca alla deriva, tenendo saldo il timone. Lo ringraziamo ancora, perché non è stato facile. Senza di lui, forse, non ci sarebbe il trentennale da festeggiare. Ad essere sinceri dovremmo ringraziare anche tutti quelli che, fino ad oggi, hanno contribuito a tenere legata la baracca. Non posso citare tutti i nomi, sono veramente troppi”.
E quelli più entusiasmanti?
“Dal punto di vista dei risultati, sicuramente, quando abbiamo raggiunto il record di punti della Virtus, 31. Una cifra impensabile per noi, anche se quell’anno avevamo una buonissima squadra e un gruppo eccezionale. In quell’occasione abbiamo lanciato in aria Mr Stroppolo, un momento emozionante e da irresponsabili: abbiamo lanciato in aria un anziano, ma abbiamo poi festeggiato, con una grigliatissima a Torsa, a casa sua. Una grigliata da tre stelle Michelin! Vorrei sottolineare che stiamo aspettando un nuovo invito, anche se sappiamo che la porta è sempre aperta”.
Ci sono altri momenti che rimarranno impressi, tipo i continui piazzamenti in Coppa disciplina e poi la vittoria nel 2009. Due finali, anche se perse, nella Coppa Over40 del 2013 e del Sedondilen del 2015. Inoltre il primo posto di Baron, con 23 reti nella classifica marcatori, prima che Zoffi glielo soffiasse all’ultima giornata per una sola rete e, quando capitava, le vittorie insperate con le squadre più forti.
Come dimenticare le doppiette di Fongione e Serafini, due outsider anche per noi! Per me, comunque, scherzi a parte, il periodo più entusiasmante resta fine agosto di ogni anno, quando scadono le iscrizioni per il nuovo campionato.
La fusione con Totò e gli amici e Am. Forever vi ha portato un periodo di incertezze. Ora pare abbiate ritrovato gruppo e compattezza. Cos’era successo?
“È stato un periodo strano, per tutti, credo. Il periodo della pandemia ha cambiato tutto. Nel 2020-2021 ho ritenuto inopportuno iscrivere la squadra, nonostante i protocolli e le varie precauzioni. Alla fine, a malincuore, ho avuto ragione. L’anno di stop forzato ha cambiato le abitudini di molti, qualcuno ha preferito smettere del tutto, altri si sono orientati su altri sport. Il tempo che non si ferma e i menischi e le cartilagini non vanno sempre d’accordo. La fusione con Totò e Am. Forever è stata la naturale conseguenza della volontà di chi voleva continuare. Le adesioni iniziali ci avevano portato ad iscrivere due squadre. Abbiamo partecipato al campionato Geretti e a quello Senatori. Il gruppo, poi, per svariati motivi, si è affusolato e in alcuni momenti non avevamo giocatori a sufficienza. Risultati infelici fanno giocatori infelici. Lavorando però sul gruppo restante siamo riusciti a ritrovare serenità. Quest’anno abbiamo fatto una scelta difficile, abbiamo tagliato la squadra del Geretti. Non avevamo i numeri. Avendo una lista “anziana”, ci siamo concentrati sul campionato Senatori e ci siamo lasciati ingolosire dai Superover, ma il risultato è stato lo stesso del Geretti. Un’altra scelta non propriamente facile. Come tutte le cose nuove c’è bisogno di rodaggio, bisogna fare chilometri, un risultato che potevamo ottenere forse prima, facendo allenamento o amichevoli, ma il tempo e le disponibilità non sono un optional”.
Ci sono aneddoti, accaduti durante la tua esperienza amatoriale, che ti piacerebbe raccontare In trent’anni di storia?
“Certo! Ogni anno si porta dietro ricordi belli, quelli brutti si tende a dimenticarli. Comunque servirebbe Zuliani per una domanda come questa. Lui se ne ricorderebbe sicuramente qualcuno. Io, invece, credo che non ce ne sia uno in particolare che vada ricordato. Aspetto di vedere se i prossimi saranno migliori di quelli passati. Ora ci stiamo organizzando per fare la festa del trentennale, la data è quella del 24 di giugno. Spero che quello sia un giorno che possa essere ricordato da molti per molto tempo”.
Descriviti come dirigente in tre aggettivi.
“Disponibile, schietto e fedele”.
Crea un motto per la tua squadra.
“La Virtus è casa mia, casa nostra”.
Al cinema assegnano l’oscar al miglior film. A chi assegneresti degli oscar in campo amatoriale?
“Potrebbe sembrare che voglia fare il piacione, ma lo darei a voi della Lega Calcio Friuli Collinare. Anche se non sempre abbiamo avuto un ottimo rapporto, ma anche le migliori coppie hanno alti e bassi. Durante le riunioni, o al chiosco, ho sentito, in questi anni, moltissime critiche, la maggior parte sterili, ma è importante ricordare che se possiamo giocare è grazie anche a voi, al settore arbitrale, ai giudici e tutto l’indotto creato in questi anni. L’organizzazione non è una cosa che si può improvvisare. E voi avete un patrimonio importante”.
Ogni anno trovare giocatori diventa sempre più difficile. Come funziona il vostro “scouting”?
“Sostanzialmente è un passaparola. All’amico dell’amico dell’amico del collega piacerebbe giocare, possiamo ancora iscriverlo? Come la canzone “Alla fiera dell’Est” di Branduardi. Da noi, i giocatoroni arrivano, se arrivano, perché sono amici di qualcuno. O perché qualcuno gli ha parlato della nostra filosofia, per noi parte fondante dei principi della Virtus: tutti devono giocare, compatibilmente con le proprie condizioni fisiche, il più possibile”.
Quali sono le persone che negli ultimi anni ti hanno dato una grossa mano per far proseguire il progetto Virtus?
“Di sicuro chi si è messo a disposizione per continuare questa corsa: Del Degan, Silvestri, Vella, Pecile, Pravisano e Gennaro che hanno aiutato me e Nilgessi a gettare le fondamenta per qualcosa di nuovo. Ma non posso dimenticare i vecchi presidenti e tutta la vecchia dirigenza della prima Virtus. I due fratelli Romagnoli, Fabrizio e Roberto, Zuliani e Rusciano (cito solo i loro) presidenti prima di me.
Tutti i giocatori che dagli Over40 dei primi anni che, vedendo i numeri dei “giovani” scendevano nel campionato Collinare per poter fare 11, giocando anche cinque partite in 14 giorni. Ringrazio anche chi non c’è più per quello che ha fatto quando c’era. Mi piacerebbe dire che siamo quasi una famiglia. Sono nate delle amicizie che vanno oltre l’impegno della partita. Spero di continuare ancora molto con questo spirito”.
Se la tua avventura sportiva necessitasse di una colonna sonora, che tipo di musiche abbineresti?
“Se parliamo della mia esperienza, la più adatta sarebbe Andamento Lento di Tullio De Piscopo, ma dovresti avermi visto giocare. O un Requiem, ma non quello di Mozart, che è troppo veloce… Se invece servisse una colonna sonora all’avventura della Virtus, mi piacerebbe fosse una musica allegra, perché è quello che siamo. Tipo quelle dei film, che più che film sono delle americanate, dove arriva una banda di improvvisati che alla fine vince, perché finalmente si ricordano che sanno anche giocare a calcio. Perché sostanzialmente siamo così”.