Laureato in economia e commercio, Roberto Collavizza ha focalizzato da subito i suoi obiettivi, sia in campo sportivo che lavorativo. E’ un grande appassionato di sport, in particolare di basket e calcio, discipline che ha praticato da giovane. Ma c’era qualcosa che lo affascinava anche nel mondo arbitrale: prendersi delle responsabilità, cercare di capire quel mondo dove devi prendere decisioni in una frazione di secondo, magari poi difendendole da coloro che non le condividono, sarebbe potuto diventare anche una palestra di vita. A 19 anni diventa arbitro di basket e da quel momento le sue prestazioni sul campo lo valorizzato tanto da portarlo ad arbitrare partite di serie A femminile e di serie B maschile. Finita la carriera arbitrale con il basket, Roberto torna a giocare a calcio. Lo fa nei campionati della Lcfc dove, dopo qualche anno, riscopre il piacere di arbitrare. Una passione che non diminuisce e che da 15 anni continua ad essere alimentata dalla sua sempreverde voglia di mettersi in gioco. Ma le situazioni di campo, il dover assumere decisioni anche impopolari, lo hanno fatto crescere come persona e, probabilmente, lo hanno aiutato nel suo lavoro dove, grazie anche a una visione d’insieme, alla sua competenza ed a un carattere deciso, ha avuto una crescita esponenziale in un azienda di telecomunicazioni, contesto in cui ha centrato parecchi traguardi: a 35 anni è stato nominato dirigente, poi Direttore Territoriale e per 2 anni Direttore a livello Italia. Una persona che sa coordinare le risorse, valutare con attenzione le criticità per poi cercare di tradurre i problemi in opportunità, è anche un valore aggiunto per la sua famiglia, nucleo che per lui è un vero punto di riferimento.
Roberto, talvolta ci sono gare accese, gare con una alta difficoltà di gestione. Tu come preferisci affrontarle? Cercando il dialogo o estraendo il cartellino?
” Le gare accese e con una alta difficoltà di gestione sono un vero stimolo e quindi le affronto sia con molto entusiasmo, ma anche con la consapevolezza che ci vuole grande professionalità e calma per trasmettere ai giocatori in campo la dovuta serenità. Ritengo quindi non esista una ricetta valida per tutte le circostanze, ma vada affrontata ogni micro-situazione in campo, cercando sia il dialogo sia estraendo all’occorrenza i giusti cartellini”.
Un arbitro amatoriale come si dovrebbe preparare per arrivare bene all’appuntamento settimanale?
“Non mi sento di dare consigli in generale, per questo ci sono i nostri competenti organi e istruttori. Io mi preparo sempre con almeno un allenamento fisico settimanale, con la lettura delle novità e dei provvedimenti LCFC e magari rivedendo nel regolamento alcuni punti che la partita precedente mi ha posto di fronte. In generale penso sempre che affrontare la gara debba essere una sorta di divertimento professionale a cui arrivare preparati per fare una buona partita”.
Il ruolo di arbitro non è certo facile. Quali sono le motivazioni che ti hanno fatto decidere di assumere questo ruolo?
“Innanzitutto la motivazione principale e’ la passione per lo sport e stare in mezzo agli sportivi; in secondo luogo il fatto che questo ruolo ti consente di dare un contributo di equità, di trasparenza e di professionalità. Purtroppo serve essere assolutamente consapevoli che a volte queste buone intenzioni e motivazioni possono essere non completamente comprese (per l’agonismo, per varie situazioni di gioco, per errori di valutazione assolutamente normali, ecc.) e quindi non e’ detto che ti vengano riconosciute in campo comunque”.
C’è un brano musicale che ha lasciato il segno nella tua vita?
“Sono molto affezionato ad una canzone che mi ha avvicinato alla mia compagna di vita ovvero “Tu” di Umberto Tozzi, ma anche a un brano che mi ricorda gli stupendi anni della scuola, ovvero “The Logical Song” dei Supertramp”.
Cosa pensi del fair play?
“Penso sia un qualcosa di eccezionalmente bello e sempre più necessario. Penso infatti che il fair play e la sua continua applicazione parta dalla società, dalla scuola , dalla famiglia, ecc. ovvero da TUTTO il tessuto sociale. Quindi non ci si puo’ lamentare se nell’ambito dello sport il fair play scarseggia quando nell’insieme della nostra società sono premiati ed esaltati sempre i furbi”.
Interiormente, quando percepisci che qualche atleta sta cercando di prenderti in giro, qual è la tua prima reazione?
“Essendo una persona che ama la correttezza e la trasparenza istintivamente mi da molto fastidio e, nella vita normale, la mia scelta verso una persona che percepisco mi pigli in giro è molto netta. In campo, viceversa, ritengo vada usato, e possibilmente cerco di farlo sempre, un po’ di buon senso. Spesso dipende dalle situazioni… ad esempio una presa in giro verbale è una cosa, una presa in giro tecnica (tipo una simulazione in area di rigore) e’ un’altra. La mia reazione, quindi, è diversa a seconda delle situazioni”.
Frequenti i terzi tempi con le squadre?
“Se possibile si. A volte però, a valle di una partita molto tirata dal punto di vista agonistico e nervoso, ritengo sul momento che la miglior cosa sia salutare entrambe le squadre in spogliatoio (cosa che faccio sempre) ed andarsene con un arrivederci alla prossima occasione”.
Arbitrare senza assistenti è sicuramente più complicato. Quali sono le situazioni di gioco che soffri di più?
“Ormai sono talmente abituato ad arbitrare da solo che non lo ritengo in generale complicato. La situazione più difficile tecnicamente è ovviamente rilevare il fuorigioco, soprattutto se non si è in linea con l’ultimo difendente (e nelle situazioni di gioco veloce direi che è molto difficile esserlo); certamente un fallo (volontario e/o violento) lontano dall’azione e non visto è la situazione che soffro di più e nella quale una mano da un assistente sarebbe gradita”.