Si chiama “Modello per la certificazione etica nello sport” e a introdurlo è stata l’impresa sociale Esicert spa di Padova. Un’iniziativa pensata per premiare proprio i valori etici e sociali che un bravo sportivo dovrebbe avere e per valorizzare così, con la giusta visibilità, le società che decidano di operare entro una siffatta visione dello sport.
Prova ne siano la Umana Reyer Venezia, detentrice in carica del campionato di serie A di basket e insignita da anni della certificazione, e la Lega calcio serie B, a sua volta premiata nel 2016. Perché è inutile nasconderselo: al pari di una rovesciata, di un tackle chirurgico o di un tuffo da un palo all’altro del portiere, gesti indimenticabili soprattutto per il valore tecnico, altrettanta fortuna di pubblico e stampa meritano i momenti di fair play di una partita. Anche nello sport amatoriale, ovviamente.
È proprio quel connubio di etica e sport che differenzia un match di calcio da una guerriglia. E che consente di valutare se e come un giocatore sia in grado di applicare il regolamento, relazionandosi – così come in un più ampio contesto sociale – con un giudice-arbitro e con gli avversari.
Quando si parla di errati comportamenti dentro e, soprattutto, fuori dal campo, sono molti gli esempi che vengono in mente: tutti detestabili, tanto più se riferiti all’ambito amatoriale, dove, proprio in virtù del principio di amatorialità, non dovrebbero esistere affatto. Eppure il calcio, come del resto ogni sport di squadra, dovrebbe potenziare con una connotazione positiva la dimensione sociale propria del singolo giocatore. Nel momento in cui il singolo si raffronta con un gruppo, migliora nei rapporti con gli altri. E’ a questo punto che entrano in gioco, con un ruolo di primo piano, le società sportive: loro il compito di favorire lo sviluppo sociale dei propri tesserati, oltre che quello primario di formarli come atleti.
Campioni di etica